Sport significa una modalità di affrontare la vita. Sport significa spirito
di sacrificio, abnegazione, dedizione e spesso comunione ed armonia. Sport,
molte volte, significa: Vita.
Insomma dire Sport significa vedere i giovani che dedicano le loro energie
nella costruzione di qualche cosa che sarà fondamentale per il proseguio
della loro vita e soprattutto sarà rilevante per la definizione del loro
ruolo all’interno della società. Questa è la migliore definizione di sport
che mi viene in mente. E che, vi giuro, vorrei fosse adottata da tutti.
Purtroppo molte volte, intorno a noi, vediamo come i valori che
caratterizzano le discipline sportive siano, almeno a parole, condivise da
tutti salvo poi, in molte circostanze, essere rinnegate all’atto pratico.
Spesso quello che la voce enuncia la mente non pensa e così riduciamo lo
sport ad un mero fenomeno di spettacolo. Spesso trasformiamo la positività e
la forza di una pratica, che in se ha il germe della positività e, perché
no, anche della purezza, in un fenomeno che trascende i valori che gli
attribuiamo e che diventa una sorta di squallido strumento di arricchimento
per una serie di personaggi che con lo sport, quello vero, francamente;
permettetemi di dirlo, non c’entrano nulla. In questa ottica posso
affrontare il tema che qui mi preme trattare. Dare voce allo sport, quello
vero, quello, tanto per intendersi, che viene giocato nelle bidonville delle
città del terzo mondo ma anche nei campetti delle periferie delle grandi
metropoli occidentali, non è solo un dovere ma una sorta di missione, tra l’
altro fondamentale, di cui tutti noi, ed in particolare, i mezzi di
comunicazione di massa (intendo televisione, giornali, periodici ed
internet), dobbiamo farci carico. Non possiamo sempre fare finta di non
vedere o rifugiarci dietro ai, (finti) dati di ascolto. Non possiamo
nasconderci dietro alla presunta richiesta di un pubblico che, più che
soggetto attivo sembra una vittima passiva di quello che gli viene
giornalmente propinato. Sto dicendo che la presunta voglia di determinati
sport invece che altri, non nasce sicuramente dalle esigenze di un pubblico
che sempre di più ricerca modi alternativi rispetto a quelli ufficiali per
seguire determinati eventi, ma nasce dai condizionamenti più o meno aperti
che i media attuano nei nostri confronti, facendoci preferire uno sport ad
un altro, deviando l’attenzione del pubblico dai veri avvenimenti sportivi
per concentrarli su quello che ormai, ovviamente al livello
professionistico, più che uno sport sembra un enorme sistema di
accentramento del denaro(non parlerei nemmeno di guadagni, visti i bilanci
disastrosi di molte società).
Voglio fare alcuni esempi: Guardando i quotidiani, spesso si vedono
pubblicazioni sportive che dovrebbero occuparsi di molti sport ma che,
invece, dedicano circa 30 pagine del loro giornale, per parlare del calcio;
dello scandalo di quello o di quell’altro giocatore; del presunto acquisto
(tra l’altro il 99% delle volte inventato) di un giocatore piuttosto che di
un altro. Gli altri sport? A quelli rimangono ben tre pagine da dividersi in
una miriade di, più o meno piccoli, trafiletti che si fa fatica persino a
leggere e che spesso sono veramente insulsi oltre che offensivi, nella loro
ridicola dimensione. Poi ci lamentiamo che i movimenti sportivi (basket,
pallavolo, rugby etc..) sono in crisi? Ovvio che sono in crisi, quale
bambino si avvicinerà a Bulleri piuttosto che al, pur bravissimo e
correttissimo, Del Piero?
Così gli sport cosiddetti minori languono in una inevitabile crisi di
iscritti più o meno grave ed invece il calcio si trova ad avere una massa
di praticanti, tra l’altro, non sempre spinti solo dalla pura passione, che,
spesso, non ha neanche la possibilità di accogliere adeguatamente vista la
carenza e l’inadeguatezza delle sue strutture.
Non voglio parlare dei problemi che questa situazione si porta dietro,
problemi che affliggono in modo, per me, gravissimo il mondo del calcio.
Voglio parlare di giustizia e opportunità. Non è ne giusto ne opportuno
negare ai ragazzi che hanno scelto uno sport meno famoso, la possibilità di
salire all’onore delle cronache. Non possiamo pensare che ci si debba
occupare di atletica solo alle olimpiadi. Non riteniamo giusto che la Rai (e
sottolineo l’azienda Rai e non i giornalisti della Rai), faccia iniziare il
collegamento ad una partita di basket in ritardo di 6 minuti, quando,
inoltre, ne trasmette solamente la parte finale.
Poi ci si lamenta dell’audience. Ma quale Audience si vuole? Ovvio che la
partita non la guardi nessuno. Io ho acceso la televisione su rai tre alle
18.00 e di partite non ne ho viste. Solamente alle 18.06 la televisione ha
iniziato a mandare le immagini e la telecronaca dell’evento (cioè a terzo
tempo abbondantemente iniziato).
Insomma dare voce alla realtà non è solamente una questione di opportunità o
di carriera, non di interesse o di piacere. Spesso è anche un delicato
dovere a cui i giornalisti e le agenzie di informazione sono
responsabilmente chiamate. Questo modo di non dare voce al basket, alla
pallavolo, al nuoto, alla pallanuoto, al rugby, alla atletica, alla
pallamano e a tutte le altre realtà sportive, io lo considero una sorta di
tradimento non solo del dovere di informazione ma dei valori che prima ho
descritto e che invece, a mio parere, rappresenterebbero, se diffusi,
perché no, anche attraverso la pratica delle discipline sportive, un ancora
di salvezza per un mondo che, mai come oggi, ha bisogno, per non affondare,
di aggrapparsi a principi sani e pieni di quella purezza e quella onestà
che, a mio parere, dovrebbero caratterizzare la nostra vita su questo
pianeta.
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